L'ingresso e lo sguardo

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Amore con arco

La seconda serie esplora la tematica dello sguardo e si collega all’atto di varcare la soglia della dimora. È il detective Milton Arbogast il primo a indagare sulla scomparsa di Marion Crane. L’uomo, un investigatore privato, è assoldato per rintracciare Marion dopo il suo furto. Arbogast arriva al Bates Motel e, dopo aver parlato con Norman, decide di entrare nella casa dei Bates per parlare con sua madre. Sale la rampa esterna, attraversa la veranda e percorre le scale verso il secondo piano. La sua breve incursione termina tragicamente quando una figura misteriosa lo attacca, facendolo cadere dalle scale in maniera innaturale, quasi come se fosse risucchiato da una forza esterna. La figura, che si rivelerà essere Norman Bates travestito da sua madre, lo colpisce ripetutamente, causandone la morte.

Nel suo saggio, Vitiello osserva un piccolo bronzo raffigurante Cupido, una fedele riproduzione dell’opera neoclassica di Jean-Antoine Houdon, posto a custodia della casa. Questa statuetta sembra quasi scagliare una freccia che colpisce Arbogast, come se fosse l’artefice del suo destino[1]. L’autore prosegue, evocando le parole del trovatore Uc Brunec: «Amore è uno spirito cortese che scaglia le sue dolci frecce di occhio in occhio»[2], un’idea che trova eco nei versi di altri poeti medievali e che affonda le radici nella cultura classica. Platone, nel Fedro, descrive l’amore come una sorta di malattia visiva, mentre Plutarco, nelle sue Questioni Convivali, esplora come amore e fascino possano derivare dalla stessa dinamica[3]. Questa raffinata interpretazione simbolica lega il mito di Cupido e il concetto di amore alla tragica vicenda di Arbogast, suggerendo che, al di là della violenza fisica, esista una forza più sottile e penetrante che governa le azioni umane.

Il tema dell’occhio e dello sguardo permea il film Psycho di Hitchcock: Norman Bates osserva, così come fa la macchina da presa, e lo spettatore è invitato a partecipare a questo atto  da voyeur. In un inserto sul periodico «Coronet» comprato dalla produzione e intitolato My Recipe for Murder, la natura voyeuristica di Norman è evidenziata anche in relazione all’arte dallo stesso regista, il quale scrive: «Questo è Anthony Perkins nel ruolo di un giovane bizzarro. Ama davvero sua madre! Che idea rivoluzionaria! Ma ha anche altre idee capricciose. Il motel è la sua galleria d’arte privata. Dietro un quadro c’è uno spioncino. Vuole controllare che i suoi ospiti siano a loro agio. Un ragazzo come piace a me!»[4]. Il testo è corredato da un’immagine che ritrae l’antagonista, impersonato da Perkins, spiare la protagonista, interpretata da Janet Leigh, in posa come la Maja vestida di Goya[5]. D’altro canto, nel 1960, oltre al film girato da Hitchcock, il cinema orrorifico ha visto l’emergere di film come L’occhio che uccide[6], Occhi senza volto[7] e Il Diabolico dottor Mabuse[8], a formazione di una sorta polittico di pellicole d’autore che esplorano temi simili di osservazione e violenza. Nel caso del secondo dei tre film dapprima menzionati, è disponibile un articolo, To Cut or Not to Cut? The POV Shots in Eyes Without a Face (and how they differ from those in Psycho), firmato da Andrew Hahn, presente sul sito del Bright Lights Film Journal e che va ad arricchire questo segmento dell’esposizione virtuale[9]. La tesi centrale del testo sostiene che mentre Hitchcock eccelle nella creazione di suspense, Franju, regista di Occhi senza volto, è maestro nel costruire il terrore. Hitchcock tende a celare informazioni ai suoi personaggi, mentre Franju le nasconde al pubblico. Le due visioni artistiche emergono dal diverso approccio all’uso della prospettiva nei loro film. In Psycho, la camera assume un comportamento irrazionale che riflette gli attacchi omicidi di Norman. Al contrario, in Occhi senza volto, la rappresentazione della violenza è stilisticamente controllata e pragmatica. Nell’indimenticabile scena della doccia, Hitchcock impiega una ripresa in soggettiva che accentua la scomparsa improvvisa di Marion. Inizialmente, lei fissa il soffione, che emette getti d’acqua oltre l’obiettivo, evocando i suoi occhi. Dopo il suo assassinio, assistiamo alla ripetizione di quella stessa inquadratura. Ciò che era un tempo soggettivo si trasforma in oggettivo. La ripresa in soggettiva rifletteva la vulnerabilità di una Marion distratta, mentre la doccia rappresentava il suo desiderio di ripulirsi dai peccati, di ritornare a casa con il denaro sottratto e di accettarne le conseguenze. La seconda visione dell’inquadratura ci fa realizzare che era e sarà l’ultimo punto di vista di Marion. La camera, girando impassibile davanti al suo volto senza vita, ne attesta definitivamente la morte.

Lo storyboard della sequenza più iconica di Psycho, realizzato da Saul Bass, il quale ha anche mentito raccontando di averla girata egli stesso[10], è disponibile in un PDF parte di una collezione online dedicata al regista, realizzata da un’università statunitense nel 2013, la Catholic University of America e curata dal professore Glen Johnson[11]. Anche se questa collezione è stata rimossa, è possibile recuperarla attraverso la Wayback Machine di Internet Archive[12]. Sempre a proposito del medesimo argomento, Vitiello suggerisce come in Psycho tutto sembri evocare l’immagine di un ocello: dall’inquadratura aerea iniziale, che potrebbe essere interpretata come un occhio alato che penetra nell’intimità dell’albergo, fino alla scena conclusiva, una sorta di ricongiungimento visivo tra gli occhi di Norman e quelli della madre, alla quale segue il recupero dell’auto dal fondale paludoso, i cui fari emergono come occhi che si aprono al mondo[13]. A tal proposito, sono state aggiunte ai materiali di interesse progettuale alcune immagini di sequenze del film, alcune delle quali derivate dalla sezione riservata al tema dello sguardo presente nel già citato The Alfred Hitchcock Wiki[14].

 

[1] G. Vitiello, Una visita al Bates Motel, cit., pp. 117-118.

[2] Ivi, p. 119.

[3] Ivi, pp. 121-123.

[4] Ivi, pp. 42-43.

[5] Ivi, p. 42.

[7] Occhi senza volto, Georges Franju, Francia e Italia, 1960, 95 min.

[8] Il diabolico dottor Mabuse, Fritz Lang, Germania; Francia; Italia, 1960, 104 min.

[9] A. Hahn, To Cut or Not to Cut? The POV Shots in Eyes Without a Face (and how they differ from those in Psycho), in Bright Lights film journal, https://brightlightsfilm.com/to-cut-or-not-to-cut-the-pov-shots-in-eyes-without-a-face-and-how-they-differ-from-those-in-psycho/, consultato il 06/05/2024.

[10] S. Rebello, Hitchcock: l'incredibile storia di Psycho, Il Castoro, Milano, cit., p. 171.

[11] Saul Bass's storyboards for the Psycho shower scene, http://cpbucket.fiu.edu/1178-fiu01-vic-3400-secrvc-81031%2Fpsycho-shower-scene-storyboard.pdf, consultato il 20/04/2024.

[12] MDIA-ENG 451, Hitchcock, https://web.archive.org/web/20150415003654/http://faculty.cua.edu/johnsong/hitchcock/index.html, in Archive.org, consultato il 20/04/2024.

[13] G. Vitiello, Una visita al Bates Motel, cit., p. 136 e p. 144.

[14] Hitchcock themes and motifs – eyes, in The Alfred Hitchcock Wiki, https://the.hitchcock.zone/wiki/Hitchcock_themes_and_motifs_-_eyes, consultato il 06/05/2024.

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